Serra di Monte Canzoni(2000mt)-La Navetta(2011mt)-Serra del Campitello(2026)-Monte Campitello(2014mt)

Un dedalo di vette infinite una simile all'altra, un pezzo dei Marsicani dove è facile sentirsi ai limiti del mondo

Le esperienze più belle molte volte nascono dalle improvvisazioni. E tante volte nella storia del nostro gruppo escursionistico ci è capitato di improvvisare una uscita che si è poi rivelata di grande interesse. Quella che vado a raccontare è nata il venerdì pomeriggio di una settimana incerta dal punto di vista meteorologico, all’improvviso, dettata più dalla voglia di uscire di Giorgio che da una reale prospettiva di buona riuscita. “Dai, smettiamola di pianificare solo uscite certe. Anche se verrà a piovere sarà comunque una occasione per vivere un’avventura”. E così non ho resistito all’accorato invito di Giorgio. La meta, tra le tante discusse, sembrava dover essere la veloce escursione all’isolato Monte Cornacchia, un duemila sperduto tra la valle di Sora e quella di Roseto. Il solito appuntamento antelucano aelle cinque di mattina; non siamo ancora usciti da Roma che il progetto è mutato. Non più il Monte Cornacchia ma il Monte Godi dall’omonimo passo. Gioisco alla variazione di programma decisa da Giorgio. Il Godi e tutta la sua miriade di vette sopra i 2000 di cui è contornato è uno dei miei più antichi progetti, quello che mi permetterebbe di dare continuità al territorio fin qui esplorato, che mi permetterebbe di assemblare il mosaico delle montagne del Marsicano con quelle di Scanno. Alle 8 siamo in partenza dal punto di accesso Y, facile da individuare esattamente in prossimità del Passo Godi. Un’agile carrareccia con pendii modesti contorna la nostra Montagna e si inoltra nel territorio del parco. Curva dopo curva gli scenari si aprono, la vetta del Godi è nascosta alla nostra vista tanto che siamo quasi tentati di attaccarlo in direttissima per chiudere agevolmente la pratica, ma continuando sul sentiero sinuoso ed estramente facile lentamente si aprono orizzonti vastissimi. Individuaimo la Cima di Capra Morta , un 2000 mancato di poco, che ci serve da centro stella per orizzontarci sul territrio. Dietro una montagna elegante, innevata attrae la nostra attenzione e forse qualcosa di più in Giorgio che compie il gesto che sarà la svolta della giornata. “Che dici di allungare direttamente verso le montagne periferiche del gruppo? La Serra di Monte Canzoni, La Navetta, e poi da li, una volta in quota, dovendo tornare indietro per forza, spazzolarci una dietro l’altra tutte le cime fino al Godi?” Queste parole mi sono suonate come un inno di carica, una sorta di musica familiare non più suonata da tanto tempo e non ho nemmeno risposto. Ero già sulla via che ci portava all’estremità del territorio, altro che passeggiata mordi e fuggi. Arriviamo nel breve tempo di un’ora allo stazzo di Ziomas dove un cordiale pastore ci da il benvenuto e si informa sulla nostra destinazione. Buon profeta ci rassicura sul fatto che non verrà a piovere ma che potremmo correre il rischio di incontrare neve. In effetti il freddo è pungente, lungo il percorso le pozze di scolo erano ricoperte da lastre di ghiaccio e il cielo era lattiginoso e tipico delle giornate invernali foriere di fiocchi nevosi. Un incontro piacevole quanto veloce e scappiamo di corsa verso la nostra nuova e lontana meta. Il sentiero poco più avanti si biforca e scende in valle; poco oltre si divide ancora ma non sentiamo il bisogno di estrarre la carta. La Serra della Capra Morta e ancora di più quella sagoma innevata e affascinante sullo sfondo ci fanno da radiofari; i tanti studi sulle carte della zona ci fanno intravedere comunque in quella direzione le nostre mete di confine. Entriamo per un attimo in un bosco; è un passaggio veloce ma rimaniamo affascinati dai colori autunnali già molto pronunciati. E’ incredibile come quasta stagione lenta ad abbandonare le giornate calde ci abbia consegnato nell’arco di una settimana un clima decisamente invernale! Quando usciamo dal bosco il sentiero è sempre ben tracciato; saliamo una selletta e ci meravigliamo di quanta strada abbiamo percorso; i profili che ci facevano da guida sono ormai sopra di noi e davanti si spalanza un grande spiazzo con uno stazzo decisamente ben tenuto. A fianco alcuni sistemi di mungitura automatizzata rivelano che lo stazzo è un avanposto vissuto, sicuramente abitato dal pastore; di proprietà del Comune di Scanno come lascia supporre una targhetta posta sull’uscio; all’interno una serie di brande con 6 posti letto, una stufa al centro e una cucina con stoviglie. Tutto molto essenziale ma estramente ben tenuto. Un invito al pernotto, pastore permettendo. Lasciamo ben presto lo stazzo e cerchiamo a quel punto di dare un nome alle vette che ci circondano. Qualcosa ci è poco chiaro; quella montagna affascinante, inbiancata ancora dalla neve dei giorni scorsi che ci ha guidato fin li non può essere la nostra meta; raggiungerà e supererà di poco i 1800 metri; alle nostre spalle la Serra della Capra Morta è il solo riferimento certo. Non riusciamo a vedere segni dei tanti 2000 che ci circondano. Ma siamo bassi, sono i 1700 metri di altezza in un catino che ci impediscono di aprire lo sguardo. Non ci rimane che continuare sul fianco della Serra di Capra Morta e raggiungere l’evidente sella davanti a noi. Siamo facili profeti a capire che da li ci si sarebbe aperto il territorio. E così è stato. Una miriade di monti, tutti molto simili per altezze e conformazioni di aprono davanti e tutt’intorno. La carta a questo punto è l’elemento essenziale per non sbagliare. Davanti a noi nella valle profonda uno stazzo e sopra le nostre mete; La Serra di Monte Canzoni divisa da una modesta sella dalla Navetta. Per evitare passaggi sullo stesso tracciato dell’andata decidiamo di non seguire l’evidente sentiero, quello tracciato anche sulle carte, che taglia i fianchi della montagna, ma ci buttiamo esattamente dentro la valle stessa fino a raggiungere lo stazzo che ci servirà da punto di ristoro. La salita alla Serra di Monte Canzoni sarà una direttissima di circa 300 metri su un paginone erboso con crestine di rocce affioranti. Affannoso ma facile da salire lo percorriamo di slancio, sbuffando come due locomotive a vapore. Alle 11 esatte siamo al culmine dei sui 2000 metri precisi, proprio mentre le previsioni del pastore si stanno facendo realtà. Finissimi granellini di neve cominciano a svolazzarci intorno. Il cielo sopra di noi è ancora quasi trasparente ma verso ovest dense nuvole ci consegnano la sensazione di un’imminente, anche se non preoccupante, peggioramento. La montagna dove siamo è un mammellone anonimo che ragala però un colpo d’occhio entusiasmante sulla Maiella ormai col vestito invernale e di quelli buoni. Più vicino le cime a noi note che dominano Scanno. Finalmente lo sguardo spazia. Sempre con la carta alla mano per dare ordine al tormentato territorio fatto di miriade di vette più o meno tutte simili tra loro, costruiamo quella ipotetica linea di percorso che ci consegnerà nell’ordine La Navetta, La Serra del Campitello, il Monte del Campitello e da ultima ciò che doveva essere prima, la vetta del Monte Godi. Un po’ spinti dalla improvvisa consapevolezza del progetto che ha assunto dimensioni enormi e dal fatto che i fiocchi ancora piccoli aumentavano di intensità e dopo le solite foto di rito per immortalare la nostra presenza su quella vetta, ci buttiamo decisamente verso la selletta sottostante. Mezz’ora appena e siamo sulla Navetta, solo 11 metri più in alto che nella precedente cima. Nel frattempo la nevicata ha assunto una certa importanza; non ci impedisce di proseguire bene, ma ciò che comincia a preoccuparci sono le nuvole, notevolmente più dense e più basse. Gli orizzonti si chiudono. Un ultimo sguardo verso le montagne del Marsicano, decisamente vicinissime, praticamente un continuo di vette arrotondate. Il Monte della Corte sembra a non più di un’ora di cammino. E’ entusiasmante la sensazione di aver allacciato i territori fin li conosciuti e conquistati con una soluzione di continuità. In queste occasioni si scopre con sorpresa che la conoscenza del terrotorio si fa di volta in volta più approfondita. E il pensiero vola ad una impotetica attraversata dal lago di Scanno fino al paese di Opi, attraverso le vette ormai state in tanti momenti la nostra casa. Non c’è tempo per i romanticismi. Lasciamo alle macchine fotografiche i contorni del territorio e fissiamo bene in mente dei riferimenti che ci traccino in qualsiasi momento le possibili vie di fuga. La neve scende più fitta, le nuvole sono ancora più basse e gli orizzonti stanno sparendo. Prossima tappa la Serra di Campitello, quella dorsale di tre vette distinte che si eleva in una catena attigua, tra noi e i Marsicani. Decidiamo di percorrerala interamente tanto che scendiamo in valle e attachiamo le prima delle tre cime. Le prime due sono facili da conquistare; la terza quella più alta che regalerà la conquista della Serra, ormai completamente imbiancata dalla nevicata che si è fatta quasi silenziosa bufera, ci sembra di una verticalità pericolosa. Intorno passa il sentiero ben marcato e lo stesso che viene riportato dalle carte. Il nostro traguardo è li sopra, poco più di 100 metri di ripida salita, ma oltre che ripida sarà anche impossibile? Come sempre la distanza schiaccia la profondità e fa perdere i contorni della realtà. Una volta sulla sella, proprio sotto l’attaco della parete la realtà assume altri contorni. Una bella pendenza, ma accessibile. Rocce disseminate assicurano una facile progressione; c’è solo lo strato di neve appena caduta che potrebbe creare qualche difficoltà. Ma non ci pensiamo nemmeno un secondo. I primi approcci, lenti ma sicuri ci danno entusiasmo per continuare la diretta fino alla vetta. Uno sguardo indietro mi consegna la vista di un Giorgio alle prese con una ancora più accentuata verticalità di quanto non mi fosse possibile distinguere volgendo l’attenzione verso l’alto e soprattutto una intensità della nevicata che ha assunto ormai caratteristica di placida bufera. Alle 12 e 30 siamo sui 2026 metri della Serra del Campitello. Non distinguiamo più nulla intorno a noi immersi nella seconda, per noi prima, inaspettata e bellissima nevicata della stagione. Le foto di rito e le riflessioni per definire le nostre intenzioni sono gli unici momenti di pausa in vetta; Monte del Campitello non lo distinguiamo ed è come se non ci fosse. Intuiamo la direzione ma non rimane che affidarci alla carta. Decidiamo di percorrere per un tratto la cresta sommitale per poi scendere ed intercettare il sentiero che corre a mezza costa nel versante ovest della montagna. Da li, poco più avanti, si dovrebbe scoprire uno stazzo e da questo la direzione per il Monte del Campitello, non dovrebbe più rappresentare un dubbio. Tutto secondo copione. Intercettiamo il sentiero e lo stazzo. Da li il percorso contorna il Monte Campitello e ci offre una ulteriore via di ritorno. Ma a qual punto non c’è ancora ipotesi di ritorno. Dobbiamo conquistare la nostra quarta vetta; siamo determinati saliamo il fianco della montagna tra rocce sporgenti; arriviamo alla cresta e da li alla vetta ma ci rendiamo conto che non è la principale. Quella è un po’ più in la , sulla mammella rotonda appena percettibile tra le nuvole e le folate di neve ancora incessante. Scendiamo la cresta, una sella pronunciata e ripida ci impedisce di percorrere il linea diritta . Scendiamo e saliamo, non ci voleva, ormai siamo un po’ provati; ci prendiamo un attimo di sosta al riparo di grossi massi per rifocillarci e riconsegnare zuccheri al nostro sangue ma è un attimo. La neve ci sta inzuppando gli zaini. Ripartiamo e siamo da li a poco a calacare la rotondità dell’ultimo mostro tragardo. L’ultimo; ci siamo arresi all’evidenza nel frattempo. Sono le 13 e 30, continua a nevicare e la luce del giorno ha già cambiato tonalità. Il Godi, progetto iniziale della nostra giornata, è lontano. Ora ciò che conta è solo il ritorno. Non vogliamo scendere indietro per riprendere il sentiero allo stazzo. Consultiamo la carta; ci sono discese al di fuori del bosco che ci fano risparmiare chilometri e tempo. Le giudichiamo fattibili; sono al di fuori dei tracciati ma tante volte ci siamo fidati di noi e della lettura della carta. Continuiamo sulla rotonda cresta verso est, fino al culmine del bosco; poi una pagina scivolosa ci consegna velocemente il canalone di valle che ci porta ad intercettare il sentiero. Sembra fatta eppure tante volte, soprattutto per non commettere errori che ci costerebbero fatiche immani al punto in cui siamo, dobbiamo consultare ancora la carta. Ogni volta una conferma sulle decisoni precedenti e un passo dopo l’altro arriviamo all’incrocio dei sentieri abbandonato la mattina e che rappresenta ormai il ritorno nel mondo conosciuto. La visibilità è sempre ridotta, ormai il paesaggio è limitato a ciò che abbiamo intorno; lo stazzo di Ziomas ci viene incontro velocemente. Ci rendiamo conto che stiamo spingendo ancora i nostri passi nonostante la stanchezza. Il pastore, attirato dai propri cani che si fanno troppo minacciosi esce di nuovo e ci viene incontro. Ci chiede se abbiamo visto nulla, intende animali. Non è deluso quando gli diciamo che non abbiamo avuta così tanta fortuna. Lo lasciamo presto sapendo che ci rimane solo poco più di un’ora di cammino fino alla macchina. Raggiungiamo il parcheggio alle 15 e 35. Sotto la tettoia delle indicazioni turistiche del parco ci sitemiamo a proteggerci dalla neve che continua a scendere implacabile per poterci cambiare dagli indumenti ormai zuppi di sudore e neve. Poco più avanti, la mattina, sulla strada per Villetta Barrea avevamo visto un rifugio. Giorgio ha voglia di farci un salto per coccolarsi con una birra ed è stato bello essere stati accolti dal calore di un camino infuocato. Dieci minuti di piacere immenso, fuori ancora qualche fiocco di neve e dentro il crepitio della fiamma e il piacere del suo calore. La degna conclusione di una giornata di montagna inaspettata, inconsueta, avventurosa che è nata sull’onda di una telefonata di cinque minuti.